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Approfondimenti: Le barche a vela. Di Vincenzo De Bonis



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Approfondimenti » 08/06/2010

Le barche a vela. Di Vincenzo De Bonis

Ore 22.00. Mi stacco dalla discussione a Piazza Vittoria e vado a fare un giro lungo il corso.
Il mio obiettivo è di andare a dare un'occhiata alle barche a vela ormeggiate sul lungomare in attesa della regata per Corfù.
Il colpo d'occhio è innegabilmente suggestivo ma la visione è anomala.
Supponi che dovrebbe essere sempre così: una città sorta su un porto naturale deve essere costruita e pensata per proiettarsi verso l'acqua, per rappresentare un rifugio sicuro per le imbarcazioni. Di solito, invece, accade il contrario: delle barche non si vede neanche l’ombra, se non in pochi e fugaci esemplari. Soprattutto, sono poche le barche a vela, la tipologia più romantica di imbarcazione, il simbolo della millenaria sfida dell'uomo per domare le volontà di acqua e vento.

Ma non è tempo di pensare alla triste quotidianità di Brindisi. E’ tempo di godere di questa illuminazione, auspicando che rappresenti uno squarcio di futuro.
Cammino sul lungomare e osservo le monoalbero affiancate. La punta rivolta verso l'uscita del porto è simbolo della tensione che le spinge verso il loro ambiente naturale, le ampie distese marine.
Lentamente e inesorabilmente vengo pervaso da sensazioni di leggerezza, serenità e libertà.

Camminando giungo al termine della fila di barche. Mi ridesto dai miei pensieri e noto qualcos'altro: il tratto stradale del lungomare è chiuso al traffico, trasformato in zona pedonale: una musica discreta proviene da locali gremiti di persone, molte delle quali sono turisti.
Comincio a fare caso anche alla varietà di lingue e dialetti che percepisco incrociando i passanti.
Mi accorgo dei cartelli in inglese che danno il benvenuto agli ospiti stranieri.
E’ un ambiente gioioso, rilassato, delicato, aiutato dal vento che, dolce, abbraccia il porto e l'umanità che nel porto si è radunata. L'atmosfera è soffusa, non si odono rumori aggressivi, cattivi, prepotenti. Brindisi è sempre più uno spazio a misura d'uomo.
Per un momento mi confondo: sono in una città balneare in cui il turismo è il motore propulsivo. Sono in un luogo di vacanza dove di giorno posso esplorare la città e di notte cenare a due passi dall’acqua.

Cammino e rifletto. Non è quindi difficile restituire questa città alla sua vocazione originale. Non è chimera sperare che il mare cessi di rappresentare isolamento per diventare prospettiva, ponte, apertura verso il mondo. Non siamo obbligati ad ospitare solo e sempre neri bastimenti carichi di combustibili, sperando che qualche nave da crociera di passaggio modifichi per poche ore la routine sonnolenta di una città di periferia.
Quando pensieri del genere affollano la mente, cresce l'orgoglio verso quello che può essere, verso quello che la città sarebbe in grado di esprimere. Sale anche la speranza. Esiste la prova concreta che una via d'uscita è possibile, che un'altra realtà esiste, che basterebbe solo crederci davvero e saperla coltivare.

Passo dopo passo, pensiero dopo pensiero, arrivo alla fine del lungomare e mi dirigo verso il corso. Tutto ad un tratto vengo risvegliato, distolto con violenza dal mio fantasticare. Sono al centro della strada, nella (temporanea) zona pedonale.
Un'auto mi si dirige contro dopo aver aggirato illegalmente le transenne.
Il sogno è finito, la parentesi chiusa, le barche sono alle spalle e svaniscono in tutta fretta. Con loro va via anche la stupenda sensazione che ho avvertito per il tempo di una passeggiata.
Una misera auto, una persona per nulla civile, un segnale non rispettato e tutto finisce.
Allora ho chiara la percezione che non è la città che non va, ma chi in questa città si è insediato, la gente che la abita. Prima di cambiare la città è necessario cambiare i suoi abitanti, la mentalità che ne regge le azioni, le relazioni, i comportamenti.
Il compito è arduo, difficile, estremamente complesso, ma l'importante è cominciare, impegnarsi, crederci. Tenendo bene a mente che è sufficiente un uomo e la sua macchina per cancellare tutto e ricominciare da capo.
Nonostante tutto, però, qualcosa nel profondo rimane. Nessuno potrà togliere la possibilità di tornare il giorno dopo e riprovarci. Magari cominciamo col sistemare meglio le transenne.

Vincenzo De Bonis


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