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Approfondimenti: "Frammenti" di Dario Bresolin



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Approfondimenti » 17/03/2009

"Frammenti" di Dario Bresolin

Ciao a tutti.
Oggi è il mio 50° compleanno e, per festeggiare, ho voluto fare io un regalo a tutti voi.
E’ qualcosa che ho scritto qualche giorno fa, proprio ripensando alle cose che ti rimangono dentro e non si cancelleranno mai. Vi ringrazio se lo leggerete. Fatelo con calma, con la dovuta calma con cui si leggono i ricordi.
E vi ringrazio soprattutto se avrete modo, e so che accadrà, di accarezzare, anche solo con gli occhi, un bambino o una bambina che sono diversi da tutti gli altri.
Grazie per essere qui.
Grazie di cuore.
Dario

“Frammenti”
In quegli anni le case popolari erano un unico contenitore di una grande famiglia. Era il 1959. La guerra era ormai lontana ed il boom economico era ancora da venire. Il mio fratellino, bellissimo, aveva sei anni, ma il buon Dio aveva voluto che fosse diverso. Il forcipe, alla nascita, lo aveva segnato per sempre. A nulla erano valsi i tentativi di portarlo, negli anni ’50, in giro per l’Italia e farlo visitare da specialisti. E proprio durante uno di questi viaggi, i miei erano a Treviso, lo stesso Dio aveva voluto fare loro un regalo, un altro bambino. La mia mamma doveva essere bella anche allora. Aveva trentatré anni.

Quel giorno papà, quarantenne, era tornato a lavoro, dopo pranzo, come al solito. Io venni alla luce alle 14.30, con i pugni chiusi vicini alla bocca. Tutti i vicini, piano piano, si avvicendarono per congratularsi con la mamma e per vedere il piccolo. Non era bello come l’altro, però era sano. Nota curiosa… era rosso di capelli.
Nella stessa piazza della periferia della città, giusto due settimane prima, una donna giovanissima aveva dato alla luce il suo primo bambino e quel giorno uscì per la prima volta da casa per venire a vedere me.

A casa non c’era ancora il telefono, però l’aveva la famiglia che abitava accanto nel pianerottolo. Nemmeno a casa dell’unica nonna, a Treviso, avevano il telefono. Ma riuscirono a dare la notizia. Insomma, l’arrivo in questo mondo fu per me fortunato. Cinque anni dopo fui portato ad incontrare la nonna. Non sapevo come fosse una nonna, non ne avevo mai visto una se non la mamma di mia mamma, in foto. Nonna Emilia, un po’ cicciotella, vestita di nero con le calze grigie, le scarpe nere delle nonne, un fazzoletto nero in testa e un grembiule, mi venne incontro dicendomi “Vien chi, cèo! (Vieni qui, piccolo!) e mi prese in braccio, baciandomi a più non posso. Ricordo che il suo viso pungeva, ma non chiesi mai alla nonna il perché.
La nonna mi disse tante cose ma io non capivo. Fu la zia, dopo, a spiegarmi cosa la nonna mi aveva detto. Nonna Emilia mi fece entrare in questa casa grande, da fuori grigia, a due piani, con tante finestre. C’era un odore che non conoscevo. Era il camino. Mi fece vedere tutte le stanze, la cassapanca all’ingresso con dentro la farina e le uova poggiate sopra.
Poi mi portò a farmi conoscere un’altra persona di casa, la mucca. Un altro odore che non conoscevo. Com’era grande la mucca! Lo zio Amedeo, accarezzandomi la testa, mi disse: “Vien chi, cèo!” Tutti mi dicevano le stesse cose. Due minuti dopo io mi ritrovai vicino alla mucca con lo zio che mi aiutò a toccare le mammelle. E ne uscì il latte. La mucca, non abituata a quelle manine, reagì con un colpo di coda che colpì lo zio che, intelligentemente, si era messo fra me e la coda. Forte lo zio Amedeo!

Poi mi portò su, al primo piano, dove c’era una stanza senza un muro. Mi tenne stretta la mano perché si poteva cadere di sotto. C’era un attrezzo come una mitragliatrice. Lo zio mi fece vedere come si sgranavano le pannocchie di granturco. Inutile dire che per tutto il giorno non feci altro.

C’era un altro odore che non conoscevo. Era la campagna. Io a casa non avevo la campagna. Era un odore bello, soprattutto la mattina. Poi diventava più forte a mezzogiorno. Bisognava starmi dietro ogni momento perché scappavo dietro alle galline. E poi ero diventato amico di un coniglietto bianco. Con lui parlavo tanto, gli raccontavo dei miei amici, dell’asilo, lo tenevo in braccio e gli davo da mangiare l’erba. Il coniglietto mi guardava ma non parlava. Io ero abituato a queste cose, per me era normale. Anche con mio fratello, a casa, io parlavo, ma lui non poteva rispondermi. Mi guardava con i suoi occhi belli, sorrideva, mi toccava un braccio o mi prendeva la mano emettendo suoni, ma non parole.
Ma ci capivamo. Molti dicevano che mio fratello “non era normale”. Per me invece era tutto normale. Mi sono sempre chiesto che voce avrebbe avuto e che parole mi avrebbe detto. Le parole me le trovavo io, leggendo i suoi occhi. E ancora oggi comunichiamo così, anche se lui vive in un luogo diverso.

Sono tornato a casa della nonna quando avevo 13 anni. Mi innamorai di quella vita. Mia cugina disse: “Andiamo a fare un giro in bici sul Piave?” E io, ignaro, dissi di sì. Quaranta chilometri tra andata e ritorno! Però mi insegnò anche a lanciare le pietre di fiume in acqua, facendole saltellare. Poi lei per me era bella, bellissima. Ma perché io non potevo abitare lì? Fu forse in quel momento che realizzai che avrei vissuto sempre da straniero nella città in cui sono nato.

Ancora oggi mi capita di dover trovare le parole, spesso nuove, leggendo gli occhi di qualcuno. A volte parlano anche un’altra lingua. E ogni volta penso, e sogno, che quelle parole e quella voce siano di mio fratello.
Dario Bresolin

Auguri dalla Redazione di Brundisium.net

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